Presidente Ronsivalle, di recente il Centro Studi del CNI da lei diretto ha pubblicato una ricerca sugli ingegneri dipendenti in Italia. Quali sono i dati emersi che lei ritiene più meritevoli di attenzione?
“Sono diversi gli spunti di riflessione che offre questa ricerca. Ad esempio, sul piano delle tutele mi sembra significativa la difficoltà emersa nel trovare forme di rappresentanza adeguate, visto che il sindacato, come afferma la maggioranza degli ingegneri intervistati, non offre il supporto atteso. Rilevante è anche il mancato riconoscimento del ruolo professionale denunciato da molti e il fatto che la grande maggioranza di coloro che svolgono attività di ingegnere non può contare su percorsi di carriera dedicati”.
Si evince, quindi, un problema relativo al riconoscimento di determinate mansioni svolte dagli ingegneri.
“Esatto. E’ interessante e per certi versi preoccupante rilevare come molto spesso all'ingegnere venga richiesto di svolgere attività professionale - sotto la sua responsabilità - senza che ciò sia previsto dalle sue mansioni, né tanto meno riconosciuto a livello retributivo. Ancora più sconcertante è il fatto che più dell'otto per cento degli intervistati dichiari di non sapere nemmeno se le attività loro richieste rientrino o meno nelle mansioni previste contrattualmente. Si può immaginare che le suddette attività non siano sempre e adeguatamente coperte da un'assicurazione sui rischi professionali, la qual cosa pone una serie di interrogativi, come si è visto nelle Faq esaminate dal nostro Centro Studi sull'obbligo di R.C. professionale”.
Che rapporto c’è tra gli ingegneri iscritti e l’Ordine?
“Colpisce il fatto che oltre la metà degli ingegneri intervistati vorrebbe che l’Ordine si facesse carico di una funzione di rappresentanza e tutela degli interessi della categoria. In un certo senso, è come se gli ingegneri dipendenti chiedessero all’Ordine di sostituirsi ai sindacati”.
La ricerca mette anche in evidenza una sorta di dualismo tra ingegneri giovani ed anziani, in termini di tutele, possibilità di carriera, retribuzione e così via.
“E’ sicuramente così ma francamente non sono convinto che questo sia un dato particolarmente significativo. Da questo punto di vista, la situazione non mi pare dissimile da quella della gran parte dei giovani italiani, qualunque lavoro facciano. Anzi, tutto sommato direi che gli ingegneri non se la passano peggio di altri”.
Ha riscontrato altre anomalie e particolarità in relazione ai giovani ingegneri?
“Una mi pare particolarmente significativa, quella relativa alla formazione di base. Nel campione da noi preso in esame c’è una sparuta minoranza di ingegneri iunior impiegati sia nelle grandi che nelle piccole aziende. Questo contraddice la ragione stessa di esistere degli ingegneri junior che avrebbero dovuto rappresentare una forza lavoro intellettuale immediatamente impiegabile”.
In quale tipo di realtà gli ingegneri dipendenti trovano maggiore spazio?
“Purtroppo la piccola e media impresa, che rappresenta l'asse portante dell'economia e della produzione italiana, impiega molto meno gli ingegneri rispetto alla grande azienda. Questo si traduce in un enorme beneficio per le grandi imprese che possono contare su un'offerta molto
elevata di mano d'opera intellettuale altamente qualificata a prezzi decisamente ridotti”.