Delle opere pubbliche previste dalla Legge Obiettivo del 2001, ad oggi ne sono state realizzate appena il 16%. Degli iniziali 150 miliardi di euro previsti, ne risultano aggiudicati solo 44,8, meno di un terzo! Gli interventi effettivamente realizzati, poi, ammontano a 3,4 miliardi di euro, appena il 7,7% delle cifre aggiudicate. Perché l’obiettivo è fallito? La causa è solo la crisi economica? Alcune risposte interessanti si trovano in una recente approfondita analisi del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri dal titolo “Opere pubbliche: criticità e prospettive nello scenario europeo”.
I ricercatori del Consiglio Nazionale degli Ingegneri mostrano come alcuni meccanismi di assegnazione degli appalti abbiano compromesso l’efficacia del programma delle infrastrutture strategiche. Molte criticità sono riconducibili alla tipologia di appalto con cui l’opera viene affidata e realizzata. Alcune tipologie di appalto come quello integrato o quello del Contraente Generale, da eccezioni sono diventate la regola. Proprio queste due forme di appalto hanno generato un incremento smodato dei costi in corso d’opera. Nel caso di opere ad oggi concluse con appalto integrato, l’incidenza del costo delle varianti sull’importo di aggiudicazione è stato del 118%, a fronte di una media generale, tra le opere concluse, già elevata, pari al 106%.
L’appalto integrato si è rivelato spesso inefficiente. In molti casi ha portato al raddoppio dei costi preventivati, in misura nettamente superiore rispetto alle opere realizzate con appalti di sola esecuzione. Questi ultimi oggi rappresentano una quota minoritaria degli appalti. Nel caso della Legge Obiettivo, ad esempio, ammontano al 13% degli importi aggiudicati, a fronte di oltre il 30% delle assegnazioni effettuate con appalto integrato. In paesi quali il Regno Unito, dove il ciclo del settore delle costruzioni non ha registrato contraccolpi gravi come in Italia, l’appalto di sola esecuzione rappresenta, al contrario, oltre il 60% della spesa delle stazioni appaltanti. Insomma, l’appalto integrato dovrebbe essere non solo limitato, ma anche quando se ne fa ricorso è opportuno che venga messa a gara la progettazione esecutiva, evitando quella definitiva.
“Alla luce di questi fatti – ha commentato Armando Zambrano, Presidente del CNI - riteniamo sia necessario attivare un processo di maggiore qualificazione delle Stazioni appaltanti. D’altra parte, la funzione di programmazione e controllo svolta dalle Stazioni dovrebbe essere tenuta quanto più possibile distinta dalle attività di progettazione. Questa va affidata a tecnici esterni. E’ per questo che da tempo insistiamo perché venga restituita centralità al progetto”.
“Volendo sintetizzare – ha concluso Zambrano – la nostra formula ideale è la seguente: alla P.A. e alle Stazioni appaltanti il ruolo guida, programmazione e controllo; ai tecnici esterni la progettazione”.
Lo studio, infine, pone all’attenzione altri due aspetti significativi: le opere inserite nella Legge Obiettivo progettate internamente alla Pubblica Amministrazione generano una lievitazione dei costi in termini di varianti, superiore rispetto a quando la progettazione è esterna. Nel primo caso l’incidenza delle varianti sugli importi assegnati è pari al 105%, a fronte del 75% nel caso di progettazione esterna.
Quando alla dinamica dei ribassi e delle varianti, questa appare sempre più perversa: maggiori ribassi in sede di offerta alimentano incrementi progressivi di costo, vanificando qualunque forma di risparmio e di gestione efficiente dell’opera. Mentre nel caso di offerta economicamente più vantaggiosa l’incidenza delle varianti è stata dell’80% (una percentuale già di per sé elevata), nel caso di massimo ribasso si arriva al 91%. L’offerta economicamente più vantaggiosa, insomma, dovrebbe essere il criterio cardine di valutazione delle offerte.