Il Paese vive una sorta di downgrading infrastrutturale, una preoccupante diminuzione del valore strategico assegnato dalle politiche pubbliche alla realizzazione di nuove infrastrutture. Queste, da opportunità per i territori, sembrano essersi trasformate in vere e proprie criticità. Lo dimostra il fatto che della molteplicità di opere individuate nel programma varato con la Legge Obiettivo del 2001, risultano aggiudicati poco più del cinquanta per cento degli interventi programmati. E’ quanto emerge dal documento elaborato dal Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri “Opere pubbliche: criticità e prospettive nello scenario europeo”, presentato oggi in occasione dei lavori di “Verso Venezia 2015”, anticipazione del 60° Congresso del CNI, in corso a Mestre.
Sebbene la crisi economica si stia attenuando, l’analisi del Centro Studi CNI mostra come recuperare il terreno perduto risulterà arduo. Tra il 2007 e il 2014, infatti, a fronte di una flessione del 21,8% degli investimenti fissi lordi totali, il decremento nel settore delle costruzioni è stato del 25,5% e quello della sottocomponente rappresentata dalle opere pubbliche del 37,7%. La parabola discendente del settore delle costruzioni e della spesa per opere pubbliche spiega in larga parte la crisi economica strutturale recente. Basti pensare che nel 2014 la spesa dello Stato per infrastrutture materiali si è attestata a 25,4 miliardi di euro, il valore più basso dal 2000. L’impatto del sistema delle costruzioni è dirompente poiché gli investimenti di questo settore rappresentano ben il 51% degli investimenti fissi lordi totali.
Sebbene la flessione degli investimenti per opere pubbliche nel periodo di crisi sia stata comune a tutti i Paesi europei, in gran parte di questi, nel 2013, il ciclo è ritornato ad essere espansivo. In Italia, invece anche nel 2013 e nel 2014 è proseguita la fase discendente.
L’analisi dettagliata condotta dal centro Studi CNI sul programma di opere strategiche inserite nella Legge Obiettivo del 2001 e sui successivi aggiornamenti, porta a risultati scoraggianti. Dei 735 interventi programmati (in gran parte si tratta di una molteplicità di lotti in cui si articola ogni singola grande opera), ne risultano aggiudicati solo 378. In termini economici parliamo di 44,8 miliardi di euro rispetto ai 150 miliardi previsti: meno di un terzo! Come se non bastasse, molte opere aggiudicate non sono state avviate o hanno accumulato ritardi. Risultano conclusi solo 117 interventi per 3,4 miliardi: appena il 7,7% di quanto messo fino ad oggi a gara. Tale ammontare ha poi generato varianti per 3,1 miliardi di euro, per una spesa complessiva di quasi 6,5 miliardi e, dunque, con il raddoppio degli importi messi a gara. Per non parlare, poi, dei ritardi. Sui 735 interventi censiti dal Centro Studi CNI ben 94 risultano in ritardo.
“L’analisi effettuata dal nostro Centro Studi – ha commentato Armando Zambrano, Presidente del CNI – dimostra, ancora una volta, la necessità di ridare centralità al progetto. Il che implica ridefinire, anche in modo radicale, il sistema delle regole e la gestione dell’intervento pubblico. E’ sempre più indispensabile definire un nuovo piano organico per le infrastrutture, da realizzarsi, però, con un uso migliore delle norme sugli appalti, anche imparando dall’esperienza degli anni passati ed evitando gli errori compiuti. Se ne parla ancora molto, gli sforzi del Governo sembrano andare in questa direzione, ma è necessario produrre fatti concreti”.
“La qualità di un’opera pubblica – ha osservato Fabio Bonfà, Vice Presidente del CNI - dipende anche da pratiche efficienti ed improntate alla trasparenza che vanno messe in atto dalle stazioni appaltanti. Da questo punto di vista, l’azione della Pubblica Amministrazione appare ancora carente. E’ necessario che la P.A. e le Stazioni appaltanti riprendano il loro ruolo guida, che deve consistere in modo quasi esclusivo nella funzione di programmazione delle opere e di controllo sulla loro corretta esecuzione lasciando a tecnici esterni le attività di progettazione”.
Il documento del Centro Studi CNI mostra come gli stessi meccanismi di assegnazione degli appalti abbiano compromesso l’efficacia del programma delle infrastrutture strategiche. Molte criticità sono riconducibili alla tipologia di appalto con cui l’opera viene affidata e realizzata. Quella che avrebbe dovuto essere una forma di appalto utilizzabile quasi in via eccezionale - l’appalto integrato e quella con il contraente generale - è diventata la regola. Ma proprio queste due forme di appalto hanno generato un incremento smodato dei costi in corso d’opera. Nel caso di opere concluse con appalto integrato, l’incidenza del costo delle varianti sull’importo di aggiudicazione è stato del 118%, a fronte di una media generale, tra le opere concluse, già elevata, pari al 106%. L’appalto integrato si è rivelato spesso molto inefficiente, in molti casi ha portato al raddoppio dei costi preventivati in misura nettamente superiore a ciò che accade nel caso delle opere realizzate con appalti di sola esecuzione, che oggi, paradossalmente, rappresentano una quota minoritaria degli appalti (nel caso della Legge Obiettivo, rappresentano appena il 13% degli importi aggiudicati a fronte di oltre il 30% delle assegnazioni effettuate con appalto integrato). Il Centro Studi CNI evidenzia inoltre come in paesi quali il Regno Unito, dove il ciclo del settore delle costruzioni non ha registrato contraccolpi gravi come in Italia, l’appalto di sola esecuzione rappresenta oltre il 60% della spesa delle stazioni appaltanti.
I dati evidenziano inoltre che la progettazione definitiva messa a gara tramite appalto integrato genera molti più costi e diseconomie in termini di varianti rispetto a ciò che accade con la progettazione esecutiva. Nel primo caso l’incidenza delle varianti sull’importo di aggiudicazione raggiunge quasi il 120%, mentre nel secondo caso è pari al 111%. Pertanto il ricorso all’appalto integrato dovrebbe essere non solo limitato, ma laddove vi si faccia ricorso, è opportuno mettere a gara la progettazione esecutiva, evitando quella definitiva.
Lo studio evidenzia inoltre altri due aspetti che fanno molto riflettere: le opere inserite nella Legge Obiettivo progettate internamente alla Pubblica Amministrazione generano una lievitazione dei costi in termini di varianti, maggiore rispetto ai casi di progettazione esterna. Nel primo caso l’incidenza delle varianti sugli importi assegnati è pari al 105% a fronte del 75% nel caso di progettazione esterna. Alla luce di questi fatti il CNI ribadisce che da un lato è evidentemente necessario attivare un processo di maggiore qualificazione delle Stazioni appaltanti e che dall’altro tuttavia la funzione di programmazione e controllo svolta da queste ultime dovrebbe essere tenuta quanto più possibile distinta dalle attività di progettazione, da affidare a tecnici esterni.
Infine, la dinamica dei ribassi e delle varianti appare sempre più spesso perversa: maggiori ribassi in sede di offerta alimentano incrementi progressivi di costo, vanificando qualunque forma di risparmio e di gestione efficiente dell’opera. Mentre nel caso di offerta economicamente più vantaggiosa l’incidenza delle varianti è stata dell’80% (una percentuale già di per sé elevata), nel caso di massimo ribasso si arriva al 91%. L’offerta economicamente più vantaggiosa, insomma, dovrebbe essere il criterio cardine di valutazione delle offerte.