Essere lavoratrice e madre nello stesso tempo non è un compito facile in Italia. A questa condizione non si sottraggono le libere professioniste, in particolare le oltre 10mila donne ingegnere. E’ questo il tema di fondo di un’indagine effettuata dal Centro Studi del CNI, presentata stamattina in occasione di “Ingenio al femminile. Storie di donne che lasciano il segno”, l’evento organizzato dall’Ordine degli ingegneri presso la sede del Senato di Palazzo Giustiniani a Roma.
La ricerca del Centro Studi degli ingegneri è stata effettuata con metodo Cawi (Computer assisted web interview) nel mese di dicembre 2014. All’indagine, che riguarda sia il tema della maternità che quello della paternità, hanno risposto 5.925 ingegneri iscritti all’Albo. Il 28,3% del campione è composto da donne, una rappresentanza significativa delle circa 88mila donne ingegnere italiane.
Due sono gli aspetti che emergono con forza. Da un lato quello che potrebbe definirsi la “maternità a basso tasso di welfare”che sembra contraddistinguere il contesto in cui operano le donne ingegnere oggi. La maternità e l’accudimento dei figli appaiono oggi in prevalenza come una questione che ciascuna lavoratrice deve gestire per proprio conto, con proprie risorse, spesso anche con alcune rinunce per salvaguardare la condizione lavorativa. Dall’altro lato la forte correlazione tra l’essere genitori e la crisi economica che il Paese registra da tempo. La scelta di avere un figlio è fortemente condizionata dalle limitate disponibilità economiche di molte giovani coppie e dalla inarrestabile precarietà del mercato del lavoro, anche di quello dell’ingegneria.
Se è vero che il 72% delle donne ingegnere divenute madri negli ultimi anni ha indicato di avere usufruito di misure a sostegno e tutela della maternità, più di un quarto della componente femminile del campione non ha usufruito per intero di tali misure, perché non previste o per evitare di allontanarsi troppo a lungo da una posizione lavorativa precaria. Inoltre, quasi il 22% delle intervistate con figli ha dichiarato di aver dovuto cambiare mansione al rientro dal periodo di congedo per maternità e ben il 45% delle donne ingegnere intervistate ha affermato che avrebbe avuto necessità di condizioni di lavoro e permessi che sono stati, tuttavia, negati.
Tuttavia, il dato dell’indagine realizzata dal Centro Studi CNI che colpisce maggiormente è quello per cui ben il 53% delle donne ingegnere madri ha indicato che avere avuto uno o più figli ha condizionato negativamente il proprio percorso di carriera. Maternità e lavoro, da questo punto di vista, appaiono certamente valori positivi che, però, per molte donne possono risultare difficili da conciliare perché il contesto li rende, di fatto, inconciliabili.
Nel complesso, considerando anche la componente maschile, siamo piuttosto lontani dagli standard degli altri Paesi europei, nei quali le misure di welfare per la famiglia risultano molto più estese. Appena il 18% degli ingegneri (uomini e donne) intervistati, che svolgono lavoro dipendente, ha la possibilità, in determinate circostanze, di lavorare da casa in modalità di telelavoro; il 18% usufruisce di asilo aziendale per i propri figli e l’1% usufruisce di voucher per baby sitter pagati dall’azienda. La misura di conciliazione lavoro-famiglie più diffusa, di cui gode infatti il l’81,6% degli ingegneri con lavoro dipendente, è la flessibilità di orario in entrata o in uscita.
Come se non bastasse, permane una disparità forte di trattamento tra lavoro dipendente e lavoro autonomo che andrebbe colmata con misure più incisive ed estese di quelle attualmente in essere. Ben il 50% degli ingegneri intervistati (gran parte dei quali fra i 25 ed i 35 anni) ha indicato che la precarietà del lavoro oggi condiziona in modo determinante la scelta di diventare genitori e che il 36% ritiene che le modalità con cui è organizzato il lavoro rendono difficile lo svolgimento del ruolo di genitore. Sono molti i casi di donne ingegnere per le quali l’evento della maternità sembra avere generato, almeno temporaneamente, una sorta di distonia con il percorso di lavoro. Soprattutto per le giovani professioniste che non godono delle stesse tutele delle dipendenti in caso di gravidanza.
“La nostra indagine – afferma Luigi Ronsivalle, Presidente del Centro Studi del CNI - oltre a mettere in evidenza difficoltà comuni a tutte, o a gran parte, delle lavoratrici nel nostro Paese, fa emergere la maggiore debolezza della posizione delle libere professioniste rispetto a quella di lavoratrici dipendenti. La condizione di sofferenza degli ingegneri liberi professionisti in genere, in quanto privi di tutele sociali, è un dato che, negli ultimi anni, si è riscontrato in molte altre situazioni analizzate anche dal Centro Studi, ma nel caso delle donne ingegnere le difficoltà sono accentuate, come abbiamo visto, dalla fragilità indotta dal loro ruolo di madri. La precarietà, ma soprattutto la scarsa remuneratività dell'attività professionale, rendono le cose ancora più complicate”.
L’analisi del Centro Studi dimostra come le trasformazioni intervenute nel mercato del lavoro abbiano tolto molte certezze ed hanno ridimensionato le aspettative e le capacità progettuali, soprattutto delle generazioni più giovani. In un numero consistente di famiglie in cui almeno uno dei due componenti è un ingegnere, il lavoro ha rappresentato un fattore condizionante la scelta di avere figli o di spostare in avanti nel tempo tale decisione. L’incertezza e la precarietà del lavoro, oltre alla difficile conciliazione tra lavoro e famiglia, sono temi fortemente sentiti anche da categorie, come quella degli ingegneri, un tempo caratterizzati da elevati livelli di occupazione e da percorsi di carriera particolarmente interessanti. L’accudimento dei figli, del resto, poggia essenzialmente su una sorta di welfare fai da te, pagato direttamente dalle singole famiglie e con ridotti casi di sostegno economico esterno, oltre che su essenziali reti di sostegno parentali.