“Una politica delle buone intenzioni sempre enunciata e mai praticata”. Così Armando Zambrano nel suo intervento nel corso del convegno “La tempesta Vaia: il modello veneto di mitigazione del rischio e gestione delle emergenze”, organizzato dal CNI con l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Belluno, in programma oggi nella città veneta. “In materia di mitigazione del rischio idrogeologico – prosegue Zambrano - il Paese ha quasi sempre registrato un forte scarto tra enunciazione di politiche di intervento nelle aree a rischio e capacità di investimento per la messa in sicurezza dei singoli territori. Il livello di attenzione di tutta la classe politica è stato, negli anni, fortemente discontinuo con livelli di investimento che in quasi tutto il territorio non sono mai stati all’altezza del livello di rischio e soprattutto delle buone intenzioni spesso enunciate”.
Il primo dato che testimonia la realtà cui fa riferimento Zambrano è quello relativo alla spesa, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo. Secondo i rilievi del Centro Studi CNI, dai primi anni 2000 ad oggi, l’incidenza degli investimenti pubblici per “la tutela dell’ambiente e la difesa del suolo” sui principali investimenti in opere pubbliche, anziché aumentare si è ridotta: nel 2000 si attestava a 2,3 miliardi di euro, mentre nel 2016 (ultimo dato disponibile) è stata pari a 2 miliardi. Nel 2007 aveva raggiunto i 3,3 miliardi di euro. Difficile pensare, sulla base di questi dati, che nell’ambito delle politiche pubbliche la mitigazione del rischio abbia rappresentato una priorità. Che poi si sia trattato di interventi estemporanei, tesi per lo più ad intervenire in fasi di emergenza si intuisce dalla forte variabilità della spesa per interventi di difesa del suolo finanziati direttamente attraverso programmi gestiti dal Ministero dell’Ambiente.
Questi dati suggeriscono come la spesa diventi inadeguata se non viene utilizzata per fare prevenzione in modo sistematico. Una prevenzione resa necessaria dal fatto che l’Italia è uno dei Paesi col maggiore livello di rischio idrogeologico: il 24% del territorio nazionale è a rischio idraulico, il 19,9% a rischio frana.
“Oltre alla prevenzione – aggiunge Zambrano - serve anche un metodo di intervento sul territorio. Non è sufficiente agire in emergenza e non lo è neanche disporre di risorse da investire in opere di mitigazione del rischio: serve invece un’opera costante di monitoraggio delle aree a rischio e approntare un’attività di manutenzione costante nel tempo delle stesse opere finalizzate alla manutenzione. Serve in sostanza conoscenza e tecnica ingegneristica ma anche un metodo di applicazione di questa tecnica sul territorio. Si tratta ovviamente di scelte di tipo politico che il CNI sente di dover proporre ai propri interlocutori.
“L’esperienza della Tempesta Vaia, in particolare nella provincia di Belluno, insegna che un intervento sistematico e non dispersivo è il modo migliore per attuare efficaci interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Ricordiamo che la potenza distruttiva della Tempesta Vaia in provincia di Belluno, a fine ottobre 2018, ha avuto la stessa potenza distruttiva dell’Alluvione di Belluno del 1966. Nel 1966 si contarono migliaia di case gravemente danneggiate, migliaia di sfollati, oltre 100 ponti distrutti, decine di morti. Nel 2018 le case inagibili sono state meno di 10, non ci sono stati ponti distrutti, l’effetto inondazione c’è stato certamente ed è stato pauroso e distruttivo ma in misura differente dal 1966. Il Veneto appare come un buon caso di scuola che ci insegna che occorre non solo investire nella mitigazione del rischio ma farlo anche in modo sistematico, in modo continuativo nel tempo”.
Sulla base di esperienze come questa, che tracciano una via assai chiara, è lecito chiedersi quale modello di mitigazione del rischio la nostra classe politica intende sostenere e finanziare. Le risorse disponibili sono considerevoli. Gli 11 miliardi previsti in tre anni rappresentano il doppio della cifra che è stata spesa in venti anni (dati Ispra) per interventi di difesa del suolo post alluvione e post frana. Ora si tratta di capire come spenderli, se perseguendo un modello che alla prova dei fatti si rivelerà virtuoso.